La storia di Lampo

La nascita della Lanfranchi

La storia di Lampo

Interessante ricordare che la produzione industriale dei bottoni ha origine in Germania, e precisamente nella zona di Amburgo ed è legata alla scoperta di una materia prima naturale: il corozo, che per le sue caratteristiche poteva essere facilmente lavorato e soprattutto tinto nei più svariati colori.

Sotto il nome di “corozo” vengono comunemente indicati i semi di alcune palme che vegetano nell’America del Sud. Tali semi, che hanno più o meno le dimensioni e la forma di un uovo, una volta sgusciati e lasciati essiccare si presentano di un bianco candido e di una compattezza straordinaria, e da ciò deriva la denominazione di “avorio vegetale”. Il corozo sul mercato europeo è arrivato quasi per caso, dato che veniva usato come zavorra per le navi che dalle Americhe rientravano al porto di Amburgo, ed è probabile che la sua utilizzazione come materia prima per fabbricare bottoni sia dovuta all’intraprendenza di qualche armatore tedesco. In Italia i primi bottonifici per la lavorazione dell’avorio vegetale sorgono a Palazzolo per merito di Edoardo Taccini, e a Piacenza grazie all’iniziativa di Vincenzo Rovera. Rapidamente nelle due zone si vengono concentrando bottonifici con un prodotto così perfetto nella rifinitura da essere preferito sui mercati esteri a quello straniero. I bottoni-frutto soppiantano quelli di metallo e di legno, nonché quelli in passamaneria, molto più costosi ed elaborati.

Negli anni 1857-67 l’industria serica viene fortemente condizionata dall’incertezza della situazione politica e subisce una scossa per la crisi commerciale di quegli anni. I filatoi, che dieci anni prima fornivano un prodotto annuo di circa 100.000 chili, devono essere ridimensionati e di conseguenza i nostri industriali chiudono i loro opifici.

Resta inutilizzata l’abbondante energia idrica prodotta dalle acque del fiume Oglio, e scade l’utilizzo del trasporto a mezzo ferrovia, che la linea Milano-Venezia, aperta dal 1856, favoriva al massimo. Ma sono questi due fattori, energia idraulica e facilità di collegamenti con l’interno e soprattutto con l’estero, che richiamano a Palazzolo alcuni industriali milanesi: nel 1867 Enrico Cramer acquista un vecchio setificio e lo rimette in funzione ed Edoardo Taccini fonda il primo bottonificio italiano nel vecchio filatoio Tedoldi. Quando il milanese Taccini espone al suo collaboratore Carlo Maifredi il progetto di fondare uno stabilimento di bottoni è per sapere dallo stesso se, dalle sue parti, vi fosse forza idraulica immediatamente disponibile per il funzionamento della fabbrica. Il Maifredi propone al suo principale l’acquisto dello stabilimento “Cavalchina” di Chiari, suo paese natale. Di passaggio in treno a Palazzolo, per poi proseguire alla volta di Chiari, il Taccini rimane colpito dall’abbondanza di acque derivate dall’Oglio e decide di cercare qui una soluzione al suo problema.

Esaminate le varie proposte, scarta l’idea di riutilizzare vecchi mulini e si orienta verso l’acquisto dello stabile di Piazza V. Rosa, dove si trovava il filatoio Tedoldi. Così dal 1867 Palazzolo diventa la capitale dei bottoni-frutto.

La ditta Taccini, dopo appena quattro anni di attività, occupava già 200 operai, e oltre ai bottoni produceva passamaneria, che veniva tessuta utilizzando la seta lavorata in loco. A partire dal 1862, Palazzolo aggiunge al vecchio nome la specificazione “sull’Oglio” per differenziarsi dagli altri centri omonimi, ma soprattutto per dare risalto alla sua collocazione sul fiume, ragione non secondaria della sua esistenza e delle sue fortune economiche.

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Nel 1887, mentre si amplia il setificio Cramer con l’aggiunta di una seconda filanda sulla Riva e la Società Cementi è al massimo della produzione, c’è il fallimento del bottonificio Taccini, che chiude dopo venti anni di attività. Gli subentrerà la Società Anonima Manifattura Bottoni.

La scomparsa della Taccini e la conseguente dispersione del patrimonio di esperienza maturato dalle maestranze, unito allo spazio di mercato rimasto libero, hanno certamente stimolato la nascita di nuovi bottonifici, primo fra tutti Lanfranchi, seguito poi dallo Schivardi e dal Colombo. Un quadro della situazione occupazionale a Palazzolo nel 1888 ci è dato da queste cifre: su una popolazione di circa 5.000 abitanti, gli occupati nell’industria sono 1595 dei quali 564 provenienti dai comuni vicini. In dettaglio si contano: 908 occupati nella lavorazione della seta (56,9%); 233 nella lavorazione del cotone (14,7%); 149 nei bottonifici (9,3%); 30 nella conceria dei pellami (1,9%); 231 nell’industria calce e cementi (14,5%); 44 nella lavorazione dei metalli (2,7%).

Giovanni Lanfranchi nato a Castelcovati nel 1854 da Gaetano e Angelina Vailati, fa parte di una numerosa famiglia – dieci fratelli, cinque maschi e cinque femmine – mantenuta dal lavoro di tintore del padre Gaetano. Verso il 1868 la famiglia si trasferisce a Palazzolo, dove il padre apre un laboratorio di tintoria e stampa di tessuti nei sotterranei di Palazzo Duranti, ora Marzoli. I figli crescono e si sistemano: alcuni a Palazzolo, altri emigrano a Parigi e in America. Il figlio Giovanni entra nella fabbrica di bottoni Taccini dove ricopre l’incarico di capo reparto foratori. Nel frattempo in località Passerera, fra Telgate e Chiuduno, Clearco Sala impianta un nuovo bottonificio e ingaggia gli uomini più capaci della Taccini; fra questi Giovanni Lanfranchi. A Telgate, dove frequenta spesso l’osteria “Speranza” gestita da Paolina Tinti, oriunda palazzolese, il giovane conosce Colomba Tinti, che sposerà nel 1882. Giovanni ritorna qualche tempo dopo a Palazzolo e lavora per la nuova ditta Nessi e Cella (con bottonificio in Via SS. Trinità, in Casa Schivardi) che, oltre ad un contratto vantaggioso, gli aveva offerto anche un alloggio per la nuova famiglia. Lì infatti nel 1883 nasce il primo degli otto figli, Paolo Gentile.

Nel 1886 il Lanfranchi, acquisite sufficienti capacità, decide di fare da solo, e in un locale attiguo al bottonificio Nessi e Cella nasce la nuova ditta Giovanni Lanfranchi & C., dove quel C. sta per Corridori, un impiegato di banca che viene associato nell’impresa. Passano due anni e avviene il primo trasferimento nei locali Costatoro, sempre in Via SS. Trinità (oggi Casa Antonioli), dove esisteva un salto d’acqua indispensabile per azionare i “borloni”. La Ditta Lanfranchi rimane in Via SS. Trinità fino al 1891, quando, con l’acquisto di un vecchio filatoio in Contrada delle Tezze (oggi Via Zanardelli) troverà la sua sede definitiva. L’immobile era una vecchia filanda e aveva il pregio di disporre di una ruota idraulica della potenza di circa tre cavalli ottenuta sfruttando un salto di mezzo metro d’acqua del vicino canale. Nei ricordi del figlio di Giovanni Lanfranchi, Gentile, ritornerà spesso l’incubo di questa ruota enorme, del diametro di quasi quattro metri, tanto larga da poterci camminare dentro, che il ghiaccio appesantiva durante la stagione invernale tanto che lo si doveva spaccare a colpi di piccone, e la cui cinghia di trasmissione doveva costantemente essere spalmata di pece per evitare lo slittamento. Nel 1896 si opera una grande rivoluzione con l’introduzione dell’energia elettrica, concessa a forfait dalla Mulini Urini, proprietaria di una centrale di produzione a Capriolo. Nel 1899, quando viene meno il socio Corridori, la ragione sociale della ditta cambia e l’azienda assume la denominazione Ditta Giovanni Lanfranchi Fabbrica Bottoni, che conserva tuttora. Il 19 settembre 1903, il Lanfranchi, mentre è a casa dell’amico Antonio Schivardi, muore improvvisamente per emorragia cerebrale.

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