Dove la Valle dell’Oglio, non molto ampia, forma quasi una gola rispetto alla pianura circostante, sorge Palazzolo; è distesa in parte sul fondo valle, lungo le rive del fiume, e in parte si arrampica sulle sponde e poi si allarga sulla pianura da entrambi i lati della valle. Torri, campanili, ciminiere si specchiano con i ponti nelle acque che scorrono al centro dell’abitato, e nel suo continuo andare e rinnovarsi il fiume è simile alla vita degli abitanti, dinamici e industriosi, della cittadina. Palazzolo può essere annoverata tra i più importanti centri del bresciano sia per la densità della popolazione che per le molteplici attività industriali. La sua ubicazione – nella parte più occidentale della provincia di Brescia, al confine con quella di Bergamo – la pone a mezza strada fra due importanti città lombarde. Le strade, che dal centro della Pianura Padana si spingono verso le valli Camonica e Cavallina e i laghi d’Iseo e d’Endine, l’attraversano col loro nastro d’asfalto. La cittadina è collegata al resto d’Italia e d’Europa dall’autostrada “Serenissima”, accessibile dai due caselli di Ponte Oglio e Palazzolo, la linea Brescia-Bergamo la collega alla sede ferroviaria nazionale.
Palazzolo, con i suoi diciassettemila abitanti di cui oltre quattromila addetti all’industria, ha subito un’evoluzione economica e sociale che ha trasformato il paese – nel primo Ottocento agricolo e commerciale – in uno dei poli più industrializzati della Lombardia. Diversi fattori hanno contribuito alla sua trasformazione: la posizione geografica che, dopo la costruzione della ferrovia, fa di Palazzolo un nodo commerciale di primaria importanza; la disponibilità di forza motrice ricavabile dalle acque dell’Oglio e dei canali Vetra e Fusia che attraversano l’abitato; una popolazione in gran parte dedita ad occupazioni agricole e mercantili per la quale, tuttavia, le manifatture (filatoi, filande, mulini) non costituivano, sin dal Settecento, una presenza del tutto estranea. Infatti nella seconda metà del XVII secolo già si insediano a Palazzolo i primi filatoi, che utilizzano la forza idraulica dei canali Gonzere, Ceresa e Carvasaglio; nel 1724 i filatoi sono sei e nella metà del secolo nove su un totale di ventisette presenze in tutto il bresciano. In rapporto ai 2400 abitanti di allora Palazzolo contava il maggior numero di questi opifici. La politica instabile, gli alti e bassi nella produzione e nello smercio della seta che si verificano tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento non frenano la crescita delle manifatture: negli anni 1846-47 sono attive otto filande su scala industriale, undici a conduzione familiare e dodici filatoi, che danno lavoro complessivamente a cinquecento persone.
L’industrializzazione di Palazzolo ha inizio comunque negli anni cinquanta del secolo scorso; la costruzione del ponte, che doveva permettere alla linea ferroviaria di superare la valle dell’Oglio a nord dell’abitato, richiese una quantità tale di materiali edilizi che solo una produzione in loco, di calce innanzitutto, avrebbe potuto soddisfare. Nel 1854 sorge così il primo stabilimento, in Italia, per la produzione di calce e cementi, fondato dalla società francese Lamarque e Lutrek responsabile della costruzione della ferrovia, e che, con successivi ampliamenti, è diventata una delle officine più importanti della Italcementi.
Le guerre per l’indipendenza e l’Unità d’Italia trovano l’economia locale ancora in espansione. Scrive Gabriele Rosa attorno al 1870: “Palazzolo nei secoli passati ebbe ricche pesche d’anguille, e lavori d’acciaio, ed ora giovandosi delle correnti dell’Oglio e de’ canali derivatine, si rese il sito più industre della Bresciana. Vi si distinguono la fabbrica di bottoni Taccini, la più squisita d’Italia, le fornaci di calce idraulica che possono dare sino a 150 tonnellate di calce al giorno, il molino americano La Fosse capace della produzione giornaliera di cento quintali, la concia Nulli preparante dodici mila pelli annualmente, quattro filatoi di seta che possono lavorare ottocento chilogrammi d’organzino ogni settimana, grandi filande a vapore, ed altre minori. Ha grosso mercato di bestiami il mercoledì, confermatogli da Venezia nel 1428”.
L’avvento di capitali svizzeri e milanesi che avevano concorso allo svecchiamento tecnologico, alla concentrazione dell’industria della seta da un lato e all’avvio di quella cotoniera dall’altro; la presenza di concerie e di mulini industriali; l’inizio della più tipica delle produzioni di Palazzolo quella dei bottoni; lo sviluppo di un’industria meccano-tessile capace di soddisfare le esigenze locali definirono, già negli ultimi decenni dell’Ottocento, un quadro che lo stesso Gabriele Rosa sintetizzava con un’espressione alla quale diversi osservatori della rivoluzione industriale lombarda avevano fatto ricorso: anche Palazzolo sull’Oglio, come i più attivi paesi delle province di Milano e Varese, appariva una “nuova Manchester”, caratterizzata non solo dal nascere di grandi fabbriche, ma anche dalla trasformazione dell’assetto urbanistico e dalla costruzione di case operaie che un rapido aumento della popolazione residente imponeva.
“Oggidì Palazzolo,” scrive lo Strafforello ne La Patria, geografia dell’Italia del 1890, “è luogo eminentemente industriale e vi sono rappresentate importantissime industrie. ( … ) I prodotti di queste fabbriche si smerciano in tutta Italia e si esportano in grandi partite anche all’estero, in Germania, Spagna, Turchia, Inghilterra, Grecia, Giappone ed America”. “La trasformazione di Palazzolo”, scrive C. Simoni, “è attestata anche da testimonianze iconografiche nelle quali, ancor prima del riferimento obiettivo a determinati insediamenti, risulta interessante la tendenza ad assimilare la nuova realtà delle fabbriche al quadro tradizionale entro cui si era organizzata la visione del paese”.
Indubbiamente alcuni dei più recenti manufatti, nonostante le loro colossali dimensioni, avevano trovato l’opportunità di inserirsi entro ampi spazi aperti dal fiume nel cuore del paese: “Eminentemente pittoresca si presenta la vallata dell’Oglio – ribadiva C. Cocchetti nella Grande Illustrazione del Lombardo-Veneto – e di gran bellezza è il ponte or gittato su quel fiume per passarvi la strada ferrata, ed è appunto il grande viadotto il riferimento che, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, risulta immancabilmente presente sullo sfondo delle vedute di Palazzolo, sino a costituire, con il passare degli anni, uno stereotipo al quale non potrà sottrarsi neanche l’occhio dei fotografi del nostro secolo. La frequenza con cui ricorre l’immagine degli edifici delle fabbriche, il gusto che sembra guidare la scelta di accostare una ciminiera a un campanile, un capannone di stabilimento al tetto di una casa d’abitazione, rivelano tuttavia l’intenzione di proporre un’interpretazione del paese, di suggerire l’idea di uno sviluppo non conflittuale del modo di produrre, di una crescita armoniosa di una comunità operosa”. Fonti diverse concorrono comunque a testimoniare l’importanza della fabbrica, la centralità della sua presenza come fattore di identità per gli abitanti: il primato raggiunto, a partire da iniziative di limitate dimensioni, in alcuni settori (primo fra tutti quello del “bottone-frutto”) l’esempio offerto dall’ascesa economica e sociale di alcuni artigiani dovevano confermare l’etica del lavoro, l’ideale del farsi da sè agli occhi dei palazzolesi del secolo scorso.